Chi era Shakespeare? |
Una domanda più corretta sarebbe "cosa era Shakespeare?, a cui è possibile rispondere coerentemente così: "una intensa collaborazione tra l'attore William Shagsper di Stratford ed il colto e raffinato intellettuale anglo-italiano John Florio". Questo perchè Will di Stratford non aveva i mezzi per creare 'Shakespeare', mentre Florio si. Vediamo in generale perchè. Quando affrontiamo l’ipotesi che Will sia stato un ignorante, assistiamo ad una prepotente alzata di scudi da parte degli Stratfordiani, ovviamente in difesa di un Will che loro rappresentano come persona molto acculturata. Questo perché l’argomento ‘ignoranza di Will’ è uno dei preferiti dagli Anti-Stratfordiani per escludere Will dalle opere letterarie di Shakespeare, e quindi viene usato per dimostrare che Will è una cosa e Shakespeare un’altra. Il ché in un certo senso è vero. Will, però, non può essere escluso dalla produzione delle opere di Shakespeare anche se della sua presunta cultura, reclamata dagli Stratfordiani, non ci sono tracce. Escludere Will non è logico perché, d’altronde, Shakespeare compare più o meno quando Will arriva a Londra e si eclissa più o meno quando Will ritorna a Stratford. Il punto, allora, da trattare credo sia questo: la possibile ignoranza di Will, nell’economia della produzione scespiriana, è un fatto negativo al punto da dover escludere Will dalla produzione delle opere di Shakespeare? Il punto è definire meglio 'ignoranza': essere ignorante non significa 'essere mentalmente incapace', significa 'non avere determinate competenze'. Se qualcuno non ha certe competenze, le può prendere da chi le ha. Molti professionisti si servono delle competenze di altri professionisti per realizzare le loro idee: alcuni architetti, non lavorando nei calcoli matematici, fanno fare le elaborazioni matematiche dei loro progetti a degli ingegneri. Il fatto di non conoscere (ignorare) certe procedure matematiche non fa di questi architetti degli incapaci. Chissà quanti di noi hanno visto dei capolavori nati dalle competenze di più persone. Se ammettiamo quindi che l'ignoranza di Will sia un fatto negativo, allora hanno ragione gli Stratfordiani a levare gli scudi, ma se guardiamo a questa possibile ‘ignoranza’ con un’ottica diversa dal solito e immaginiamo che possa invece avere una valenza positiva, allora diventa un elemento significativo per capire meglio ‘shakespeare’ nel suo insieme. L’argomento ‘ignoranza di Will’ è un elemento inclusivo piuttosto che esclusivo, perchè crea le condizioni per includere meglio Will nella dimensione di ‘Shakespeare’. Diversamente nascono solo contraddizioni. Il dato di fatto, comunque, è che da più parti ci sono testimonianze che Will sia stato una persona non molto preparata culturalmente parlando, infatti in più di una occasione Ben Jonson (amico e collega di Shakespeare) sottolinea la sua ignoranza, perchè conoscere 'poco il Latino e ancor meno il Greco' faceva di una persona, al tempo di Shakespeare, un incolto. Se consideriamo che i documenti legali, a quel tempo, erano ancora redatti in Latino, chi lo avesse conoscito 'poco' sarebbe stato un'ignorante. Allora non arriviamo a nessuna soluzione cercando di dimostrare l’indimostrabile, e cioè che Will era una persona colta quando Jonson lo presenta come uno che aveva poche capacità nelle lingue classiche. Se pensiamo all'importanza delle lingue classiche nei lavori di Shakespeare (che conosceva tanto bene, soprattutto il latino, da aver creato un suo proprio meraviglioso linguaggio usandole e modificandole estensivamente) possiamo 'inferire' che Will centra poco con la costruzione del linguaggio di Shakespeare. Ma da questo a pensare che Will e Shakespeare siano due entità diverse (come propongono gli antistratfordiani) è un errore di valutazione che nasce, probabilmente, dall'interpretazione sbagliata di diversi fatti. Allora guardando ad una prospettiva positiva (o comunque diversa dal solito) della sua scarsa preparazione, troveremo valide soluzioni per analizzare quei dati che altrimenti risulteranno sempre contrastanti. Dati che tra l'altro appaiono nelle cronache di quei tempi, come quei dati che si riferiscono a quell'Humphrey King (il cui scritto 'An Half-penny-worth of Wit in a penny-worth of paper' venne pubblicato da Edward Blount, che produsse il Folio di Shakespeare del 1623, e da Thomas Thorpe, che pubblicò i Sonetti di Shakespeare), pseudonimo dietro il quale possiamo intravedere l'entourage letterario di Florio (e quindi anche di Shakespeare). Humphrey King dichiara candidamente, oltre al fatto di essere una persona molto schiva, di essere a mala pena capace di fare la sua firma, che in effetti pare fosse l'unica cosa in grado di fare Will a livello di scrittura. Ma se il fatto di essere un'incolto fa di Will un elemento positivo (piuttosto che no) per capire meglio Shakespeare, è utile allora parlare brevemente di Paul Klee per apprezzare il mio punto di vista. Klee è stato un grande artista, artista che ha sperimentato molto nell’ambio della pittura. Verso la fine della sua carriera, disse che avrebbe voluto ridiventare un bambino per poter essere libero da quei condizionamenti che ingabbiavano la sua mente ormai troppo strutturata. Klee intraprese esercizi per ‘disimparare’ ciò che aveva imparato nella sua lunga carriera, per tornare cioè a quella ‘genuinità creativa’ che difficilmente appartiene ad una mente troppo strutturata. In certi momenti tentò di disegnare con la mano che non aveva mai usato nel disegno, per essere svincolato dai condizionamenti dell’‘apprendimento’. Questo per poter sperimentare nuovi percorsi creativi. Certi suoi disegni fatti in quel periodo, tecnicamente parlando, sembrano usciti da una mano che non sapeva assolutamente disegnare: un bambino di sei anni potrebbe fare meglio, perchè tecnicamente alcuni disegni sono molto scarsi. Ma a Klee non importava la tecnica, che aveva in abbondanza, importava ‘sperimentare nuovi linguaggi’ che fossero svincolati dal retaggio di quelle ‘sovrastrutture’ che aveva ‘appreso’ nel tempo: per questo cercò di ‘destrutturare’ la sua mente. Ora, detto questo, ammettiamo che Will avesse un amore sfrenato per il teatro: quindi ammettiamo (cioè inferiamo, perché non possiamo fare altro che questo in mancanza di prove) che, durante una delle visite di una compagnia di attori a Stratford, lui fosse rimasto folgorato dalle rappresentazioni teatrali. Ammettiamo che avesse scoperto una viscerale passione per il teatro, ma che non avesse avuto mezzi, né economici né culturali, per assecondare la sua passione. Cosa avrebbe dovuto fare per seguire il suo istinto ‘teatrale’? Cercare qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo. Ammettendo la sua ignoranza, possiamo considerare che la sua era una mente ‘naturalmente destrutturata’ soprattutto in relazione a come avrebbe potuto affrontare certe soluzioni lui, confronto al modo in cui le avrebbero affrontate un Robert Greene o un Thomas Nashe usciti da università, come quella di Cambridge, dove venivano formati laureati (Wits) pronti per essere immessi nel ‘mercato teatrale’, che andava per la maggiore in quel periodo. Will poteva essere incolto, ma non era certamente stupido: lo dimostra la sua brillante carriera di impresario teatrale (questa abbondantemente documentata) perché con questa ‘incerta attività’, per quei tempi, lui si era creato una fortuna. Quindi le sue 'soluzioni' erano efficaci, quelle di Greene e Nashe (morti purtroppo in miseria) invece no. Se avesse trovato qualcuno disposto ad aiutarlo, avrebbe realizzato i suoi sogni. Ma chi sarebbe stato disposto ad ascoltare uno come lui, proveniente da Stratford senza mezzi e senza soldi? Qualcuno attento alle innovazioni, così attento alle innovazioni (quindi mentalmente aperto a ‘destrutturate’ per poi ‘ristrutturare’, piuttosto che ‘conservare’) da correre il rischio di essere costantemente attaccato dagli intellettuali universitari (i famosi Wits) come Thomas Nashe. Esisteva, a quell’eopca, un simile personaggio a Londra? Si, esisteva, il suo nome era John Florio. Quando Will si mosse da Stratford, a Londra non era ancora passato il fragore che aveva creato il soggiorno (di due anni) di Giordano Bruno e John Florio, in quanto amico e sostenitore di Bruno, era ancora nell’occhio del ciclone. Giordano Bruno cercò di destrutturate la rigida concezione culturale inglese per ristrutturare una nuova forma di cultura, ma non ci riuscì. Florio continuò la missione del suo maestro, diffondendo il messaggio di Bruno dovunque e comunque. Per Florio il misterioso ‘Shakes-peare’, cioè una penna contro l’ignoranza (Shake = agitare; speare = penna) come lo definì Ben Jonson nel Folio del 1623, sarebbe stata una bel mezzo per diffondere quello che, apertamente, suscitava tante reazioni negative. Quando Florio e Will si incontrarono capirono che, insieme, ognuno dei due poteva realizzare meglio il suo sogno. Ognuno dei due aveva il suo: quello di Will era di fare anche tanti soldi, quello di Florio era di poter scrivere senza incorrere in inutili fastidi e minacce. Io credo che all’inizio Will sia stato un allievo di Florio (il sonetto di Phaeton nei Secondi Frutti di Florio lo dimostrerebbe), ma poi il loro rapporto dirottò verso un’intesa che sfociò in una intensa collaborazione: la mente ‘destrutturata’ di Will avrebbe permesso a Florio di sperimentare vari i tipi di linguaggi senza avere conflitti. D'altronde il sistema linguistico che adotta Shakespeare per scrivere le sue opere, sistema su cui ancora oggi i linguisti si interrogano per la sua complessità, proviene esclusivamente da Florio, che lo 'costruì' attraverso una ricerca durata anni. Non è possibile che tutte le competenze linguistiche di Florio siano confluite nei testi di Shakespeare, perchè come dice il professor Jonathan Bate 'Will sbirciava i libri di Florio'. E' possibile invece pensare ad una collaborazione che coinvolgeva profondamente Florio e Will, collaborazione tra l'altro confermata dalle cronache del tempo. Florio avrebbe potuto fare la stessa cosa con Nashe? Una mente altamente strutturata, come quella di Nashe, avrebbe permesso e di essere ‘guidata’ da uno come Florio? Io credo di no! E’ per questo che Florio preferì sponsorizzare Will presso il Conte di Southampton, nobile che tra l’altro era anche studente di Florio già dal 1586. Nashe scriverà più volte che Florio gli negò la possibilità di essere accolto e protetto dal Conte di Southampton, mentre invece favorì Will. Per questo la collaborazione tra Will e Florio non è una fantasia, ma un fatto documentato, infatti, se noi cerchiamo tra le cronache del tempo otterremo valide informazioni su questa ‘simbiosi’ tra Will e Florio. Infatti, più o meno in quegli anni (1589) Thomas Nashe comincerà ad attaccare violentemente John Florio definendolo, nei suoi scritti, nella stessa maniera in cui Robert Greene definì Shake-scene, nel 1592, nel suo famoso Groatsworth. Quindi, scopriamo che Florio veniva definito da Nashe (nel 1589) come Robert Greene definì ‘Shake-scene’ nel 1592. Quindi, Florio e Shakespeare hanno molto in comune: il modo in cui Nashe (nel 1589) e Greene (nel 1592) parlano di loro. Il fatto che gli studiosi si rifanno ad uno scritto di Robert Greene, del 1592, per tracciare una credibile biografia di Shakespeare, dimostra che bisogna far riferimento a ciò che troviamo nei testi di quegli anni per avere una visione attendibile di chi sia Shakespeare. Ma certi studiosi hanno creato una griglia interpretativa al di fuori della quale certi dati, benché significativi, non vengono presi in considerazione. Questo preclude la possibilità di ‘interpretare correttamente’ ciò che troviamo scritto nelle cronache del tempo di Shakespeare. Interpretando corretamente ciò che troviamo nelle cronache di quei tempi, scopriremmo che ''un assoluto Johannes Factotum" come dice Robert Greene nel suo Groatsworth del 1592, "si nasconde dentro la pelle di un 'attore' e copiando dagli altri crede di essere l'unico scrittore di treatro del paese". L'unico 'Johannes Factotum' in circolazione a Londra a quei tempi era proprio John Florio. Robert Greene parlava proprio di lui nel suo Groatsworth. Vedremo in dettaglio perchè Florio venne definito 'Johannes Factotum' nella famosa critica di Robert Greene del 1592, vedremo perchè Robert Greene e Thomas Nashe ce l'avevano tanto con lui, e lo vedremo attraverso dati di fatto, non attraverso fantasie o supposizioni. Interpretare male i fatti (tendenziosamente?) fa succedere per Shakespeare la stessa cosa che successe a Schliemann e la scoperta della antica Troia: gli accademici non davano credito a Schliemann quando affermava che, da indizi contenuti nella Iliade, avrebbe riportato alla luce Troia e il tesoro di Priamo. Questi luoghi e persone venivano giudicati ‘mitici’ dagli studiosi e di conseguenza, per loro, non erano esistiti nella realtà dei fatti. L’Iliade per loro era un libro dove la storia, i fatti reali della storia, non aveva niente a che fare: era solo mitologia scollegata con la realtà. Quindi non era esistita nessuna Ilione e nessun Priamo, tanto meno il suo tesoro. Ma Schliemann, in barba agli increduli (e a certi accademici), riportò alla luce l'antica Troia e il tesoro di Priamo, dimostrando che molti studiosi si sbagliavano alla grande. Così, tutti gli indizi su una diversa interpretazione della vita di Shakespeare vengono esclusi perché, come fecero molti accademici nel caso di Schliemann, molti studiosi di Shakespeare hanno formato una griglia interpretativa in cui può entrare solo ciò che stabiliscono loro, escludendo il resto. Questi studiosi non troveranno mai il tesoro di ‘Shakespeare’. A meno che non si ammetta che la storia di Shakespeare possa essere riscritta, come fece Schliemann con l’Iliade. Ci sono, infatti, tante prove che portano verso una collaborazione tra Will e Florio. Will e Florio, più o meno intorno al 1587, possono essere venuti a contatto in diverse maniere. Le più probabili corrono attraverso Richard Field e Fulk Greville. Questo perché Field era un compaesano di Will che, grazie a Giordano Bruno e Vautrolier, poteva benissimo conoscere Florio. Ma il collegamento tra Florio e Field è stabilito anche attraverso un’amico di Florio, il dottor Mathew Gwinne. Per quanto riguarda Greville, invece, è significativo il fatto che egli avesse grosse proprietà a Stratford e che lui e Florio fossero amici già nel 1583-5. Si parla a questo proposito (anche se non sono riuscito a trovare conferme documentarie di questo fatto) di un misterioso viaggio di Florio a Stratford. La sua amicizia con Greville, e il fatto che Florio avesse intensi rapporti con Oxford (grazie al Conte di Oxford che era un suo amico), può giustificare un simile viaggio a Stratford. In quella occasione poteva esserci stato un contatto tra lui e Will? E se si, perchè? Non riesco a dimostrare che questo sia possibile, ma non credo che ci sia qualcuno che potrebbe smentire questa possibilità in maniera definitiva e categorica. Sta di fatto che, nel 1591, un misterioso sonetto (che il critico letterario W. Minto attribuisce a Shakespeare) è presente, come dedica a Florio nei suoi ‘Second Fruits’. Questo sonetto non è stato scritto da Florio (o non solo da lui), e gli elementi scespiriani all’interno del sonetto (che anche il Chambers riconosce come tali) lo propongono come una delle prime composizioni poetiche nate dalla collaborazione tra Florio e Will. Florio, concordemente a ciò che diceva il suo amico e maestro Bruno, sottolineava l’importanza dell’educazione culturale (che Florio insisteva fosse estesa anche alle donne) e pensava che chiunque dovesse beneficiarne, a condizione che fosse in grado di riceverla. Florio quindi pensava che tutte le persone con buone capacità intellettive dovevano essere educati alla cultura. Io credo che Will, per Florio, fosse meritevole di essere educato e di conseguenza credo che il sonetto di Phaeton sia stato uno dei primi componimenti poetici di Shakespeare. Ovviamente quando parlo di Shakespeare intendo una collaborazione tra Florio e Will: quindi Phaeton è stato composto da loro due, o comunque è stato composto dietro la supervisione di Florio (anche se, in questo sonetto, certi errori Florio non li ha corretti). Troviamo prove della collaborazione tra Florio e Will negli scritti di Thomas Nashe. Troviamo prove di questa collaborazione negli scritti di Florio. Troviamo prove di questa collaborazione negli scritti di Robert Greene. Troviamo prove di questa collaborazione in molti altri scritti di quel tempo. Nel 1583 Florio era già un protetto del Conte di Southampton, Will ancora no. Nel 1593 un poemetto intitolato Venere e Adone viene ufficialmente dedicato al Southampton. L’autore di Venere e Adone è Shakespeare. Nel 1593, quindi, nasce ufficialmente ‘Shakespeare’. Shakespeare infatti dichiara, in Venere e Adone, che quello scritto è il ‘primo erede della sua invenzione’: questo perché prima di allora ‘Shakespeare’ come identità letteraria (e nominale) non esisteva ancora, benché in via di formazione. La nascita di ‘Shakespeare’ è un preciso progetto letterario pianificato da Florio e Will, che produrranno insieme tutte le opere di Shakespeare. Vedremo perché. Il progetto di Florio di elevare la lingua inglese all’altezza delle maggiori lingue europee (progetto dichiarato in tutti i suoi libri) trovava in Shakespeare un valido mezzo di realizzazione. In questo contesto Will è uno snodo importante per capire la diffusione delle opere di Shakespeare. Ognuno dei due (Will e Florio) aveva capacità specifiche, che focalizzate in un buon progetto potevano dare risultati insperati. Il nome di questo progetto si chiama ‘Shakespeare’. Che Will fosse poco preparato, dal punto di vista culturale, non era molto importante dal momento che aveva al suo fianco un raffinato letterato come Florio. Ciò che dico acquista senso se pensiamo ai Beatles. Sappiamo tutti che i Beatles erano quattro: John Lennon, Paul Mc Cratney, Ringo Starr e George Harrison. Ma pochi conoscono George Martin. George Martin, però, è considerato il quinto Beatles: ma in pochissimi lo conoscono. E’ a George Martin che i Beatles devono il loro grande successo, perché Martin li ‘costruì’ partendo dal loro potenziale grezzo. Quindi i Beatles, sebbene creativi, erano menti ‘destrutturate’ dal momento che non conoscevano bene la musica. Martin, la prima volta che incontrò i Beatles, disse di loro che erano ‘abbastanza orribili’. Ma grazie al suo intervento questi quattro incolti ragazzi di Liverpool diventarono i Beatles: un fenomeno musicale che resisterà al tempo e alle mode. Chi era George Martin? George Martin era un tecnico della musica, un direttore d’orchestra, uno che la teoria musicale (diversamente dai Beatles) la conosceva molto bene, di conseguenza ‘arrangiò’ la loro musica in modo da diventare una assoluta novità, così da conquistare tutto il mondo. Ma lui stava sempre dietro le quinte. Non tutti apprezzarono i Beatles quando comparvero nelle scene: anche i Beatles ebbero i loro bravi ‘Thomas Nashe’ e ‘Robert Greene’, persone cioè che li criticarono aspramente. Ma i Beatles sono ancora nella scena, mentre dei loro critici non sappiamo più niente. E George Martin? Solo gli esperti lo conoscono, i più non sanno nemmeno che esista. Mentre i fantastici quattro si esibivano nel palco, mandando in delirio il mondo, George Martin rimaneva nell’ombra, nonostante quel delirio fosse opera sua. John Florio è stato per Shakespeare (più di) quello che George Martin è stato per i Beatles. Senza Martin non ci sarebbero stati i Beatles, senza Florio non ci sarebbe stato Shakespeare. A quelli che giustamente si chiedono perché Florio preferì lavorare nascostamente invece di uscire apertamente allo scoperto, posso rispondere con le parole di Florio, che nei suoi Second Fruits (1591) dichiarò: ‘Sono in molti ad avere un coltello puntato contro la mia gola e sono pronti ad usarlo’. Questo perché, secondo le opinioni di Roger Ascham, John Florio era un letterato di origini italiane e di conseguenza doveva essere guardato a vista perché incarnava il diavolo. Fu infatti Ascham a coniare il detto: ‘poeta italianato diavolo incarnato’. Proprio Thomas Nashe, contemporaneo e nemico di Shakespeare e di Florio, riprendendo il detto di Ascham scrisse che Florio era un ‘poeta italianato’ e di conseguenza ‘un diavolo incarnato’. Gli scritti di Florio furono sempre accompagnati da notevoli attacchi, alcuni dei quali non furono solo letterari. La dichiarazione di Florio che ‘molti sono pronti ad ucciderlo’ per le sue attività letterarie mi sembra un valido motivo per scegliere strategie opportunamente protettive nei confronti della sua persona: l’anonimato e la collaborazione sono valide strategie protettive. Tra i suoi accaniti avversari possiamo elencare: Thomas Nashe, Robert Greene, Hugh Sanford e John Eliot, cioè il fior fiore della letteratura inglese di quel tempo. Nel suo ‘A World of Words’ del 1598 John Florio scriverà abbondantemente dei grossi problemi che ebbe con le sue produzioni letterarie a causa degli attacchi dei suoi avversari, descrivendo l’azione dei suoi nemici come il suo ‘old danger’ (vecchio pericolo). Questo da la dimensione del clima di odio che si sviluppò attorno a lui e alla sua attività di scrittore. Shakespeare fu per Florio il mezzo ideale per esprimersi senza pericolo. Di ciò che ho sostenuto in queste poche righe io e Giulia Harding vi daremo esaurienti prove e conferme. |