Sabato 07 Dicembre 2024
Massimo Nobili
Tre lettere del “carteggio” aretiniano PDF  | Stampa |

In tre lettere del “carteggio” aretiniano, il “presunto” avvelenamento, per via auricolare, del Duca d’Urbino Francesco Maria I della Rovere: allo stesso modo, morirà, “in teatro”, anche King Hamlet. 

In queste brevi note M. O. Nobili analizza il contenuto delle due lettere di Luigi Gonzaga ad Aretino del 18 marzo e del 17 aprile 1540, nonché della fondamentale lettera di Aretino a Luigi Gonzaga del 31 marzo 1540 (corredata da una “sinottica” parafrasi, a completo chiarimento letterale e concettuale del testo); si tratta della prima specifica analisi delle tre importanti lettere del “carteggio” aretiniano, ove si tratta il tema del “presunto” avvelenamento, tramite versamento di veleno nelle orecchie del Duca d’Urbino Francesco Maria I della Rovere, per mano del suo barbiere, reo confesso (secondo Aretino, alla sola minaccia di essere torturato) del delitto materiale, i cui mandanti lo stesso reo confesso aveva indicato in Luigi Gonzaga e Cesare Fregoso. Aretino, dopo una prima accusa contro Luigi Gonzaga, ne diviene il vero e proprio avvocato difensore (ricevendo addirittura dal Gonzaga, con la lettera del 17 aprile 1540, copia del processo accusatorio,  redatto dai giureconsulti di Urbino, su ordine del figlio del Duca ucciso, il nuovo Duca Guidobaldo I della Rovere, con la strabiliante confessione scritta del barbiere!); Aretino intende soprattutto tutelare il glorioso nome della Famiglia Gonzaga, cui Eleonora Gonzaga (moglie del Duca ucciso, insieme coi suoi importanti fratelli, il Duca di Mantova Federico e il Cardinale Ercole) teneva particolarmente. In conclusione, si fa riferimento a come tale storia italiana sia “una nuova fonte” (Prof. Giorgio Melchiori - 1994) dell’Hamlet, ove anche King Hamlet muore avvelenato tramite le orecchie e al ruolo di John Florio nella vicenda.

Tre lettere del “carteggio” aretiniano (716.19 kB)

 
Frate Lorenzo (Romeo and Juliet) e Frate Cristoforo (I promessi sposi) PDF  | Stampa |

M.O. Nobili, in queste brevissime annotazioni, riferisce (sulla base di un ponderoso studio del Prof. Giovanni Getto del 1967) circa una possibile “influenza” della fondamentale figura di Frate Lorenzo (in Romeo and Juliet) - ritenuta come figura “prototipo” di un frate che presta consiglio e soccorso a due giovani innamorati - su quella, parimenti fondamentale, di Frate Cristoforo (ne I promessi sposi).

Frate Lorenzo e Frate Cristoforo (305.28 kB)

 
1° novembre 1550: M. Florio arriva a Londra - Una data e un avvenimento fondamentale per la genesi delle opere c.d. “shakespeariane”. PDF  | Stampa |

Saul Gerevini e Massimo Oro Nobili celebrano, in questo breve studio, la ricorrenza del 1° novembre 1550 (471 anni or sono), giorno epico in cui Michelangelo Florio, dopo un lungo e periglioso viaggio, arrivava a Londra, dopo essere fuggito da Roma il 4 maggio del 1550. Si tratta, giusta la “tesi floriana” di una data fondamentale per la genesi delle opere c.d. “shakespeariane”. Paradossalmente, le opere c.d. shakespeareane nascono, grazie alla persecuzione dell’Inquisizione, dalla quale Michelangelo dovette fuggire, recandosi (fortunatamente) a Londra, e trasferendo in Inghilterra, il suo grande bagaglio di cultura classica e del Rinascimento italiano! E il figlio John Florio avrebbe perseguito, nella sua generazione, le medesime orme paterne, divenendo il più grande divulgatore delle opere italiane in Inghilterra, rielaborate innovativamente in una lingua inglese, che allora (grazie anche all’opera di John Florio) stava iniziando la sua ascesa come “global language”! Se Michelangelo Florio non fosse stato costretto all'esilio religionis causa in Inghilterra, la grande cultura delle opere letterarie del Rinascimento italiano avrebbe stagnato in una lingua, il volgare italiano dialettale, appannaggio ovviamente di una platea di fruitori ben più circoscritta.

Primo novembre 1550 una data fondamentale (399.32 kB)

 
Da “shoulder …out of joint” (J. Florio, 1598) a “time…out of joint” (Amleto). PDF  | Stampa |

M. O. Nobili  indaga sulla genesi della frase di Amleto: “The time is out of joint” (una delle più significative dell'intero canone c.d. shakespeariano). John Florio, nel suo dizionario del 1598, aveva tradotto il lemma “spallato” (contenuto nel testo - da lui letto - della commedia Gl’Ingannati dell’Accademia degli Intronati di Siena, con riguardo a un personaggio la cui spalla era fuoriuscita dalle giunture, a causa di un pesante fardello dal medesimo trasportato sulla spalla) nell'espressione inglese (propria della terminologia medica) “shoulder…out of joint”. La conclusione, nel dramma, è che un mondo, che è “out of joint”, è un mondo malato, che necessita (come affermava Giordano Bruno, amico di John Florio) dell'intervento di un medico, nella specie, Amleto, destinato a curarlo e guarirlo!  Ora, forse, riusciamo meglio a comprendere come il mondo, di cui parla Amleto, fosse un mondo affetto da una seria malattia, proprio similmente a quella di una spalla - l'articolazione più mobile del corpo umano, il fulcro essenziale per la rotazione del braccio - che sia fuoriuscita dalle proprie giunture.

Shoulder out of joint (775.49 kB)

 
La genesi prettamente “floriana” del First Folio (1623) PDF  | Stampa |

M. O. Nobili indaga sulla genesi prettamente “floriana” del First Folio (1623), la pubblicazione sulla quale, essenzialmente, è stato costruito il “fragile castello” dell’“attribuzione shakespeariana” delle opere teatrali floriane.

La genesi prettamente “floriana” del First Folio (538.96 kB)

 
La “caduta” di Michelangelo Florio e quella di “Phaethon” (Ovidio) PDF  | Stampa |

M.O. Nobili, in questo studio, indaga sul  sonetto “Phaëton  to his friend Florio” (pubblicato in apertura     dei Second Frutes di John Florio del 1591), pervenendo alle seguenti due conclusioni: 1) alla “caduta” del mitico personaggio di “Phaethon” (come descritta da Ovidio, in latino) si era ispirato Michelangelo Florio, per descrivere la propria “caduta” morale, nella lettera, in latino, da lui inviata il 23 gennaio 1552 a William Cecil; 2) l’autore del sonetto è John Florio, che intese (mediante la scelta del titolo del sonetto stesso) ricordare il proprio padre Michelangelo Florio (identificatosi nel “Phaethon” ovidiano); e ciò, in quel 1591, in cui lo stesso John Florio (nell’epistola “To the Reader” dei suoi Second Frutes), aveva pomposamente annunciato la ormai prossima pubblicazione del suo primo “epocale” dizionario italiano-inglese (“I will shortly send into the world an exquisite Italian and English Dictionary”), per la cui primigenia ideazione (“the first light”) e compilazione egli si era avvalso (per le parole italiane) di un dizionario monolingue italiano, predisposto, ma non pubblicato, dal proprio padre. Quel dizionario monolingue italiano sarebbe, di per sé, servito a poco a Londra, ma se John Florio, sulle orme del padre, avesse avuto l’ardire di tradurre in inglese (anche mediante neologismi) i lemmi italiani (aggiornandoli e incrementandoli), allora egli avrebbe dato luogo (come avvenne) a un’opera letteralmente “sovrumana”, che, se impossibile da realizzare da un singolo studioso, era il risultato del lavoro delle due generazioni dei Florio.   

La “caduta” di Michelangelo Florio e quella di “Phaethon” (1.77 MB)

 
Il “perder tempo” in Dante (“Purgatorio”), negli Intronati di Siena (“Gl’Ingannati”), e in Shakespeare (“Love’s Labour’s Lost”) PDF  | Stampa |

Nel presente studio, Massimo Oro Nobili, a 700 anni dalla morte di Dante, indaga su un tema fondamentale, nella vita umana, quello del grande “valore del tempo”, “che non va sprecato”, in merito al quale, Dante (XIV sec.) aveva affermato, in via generale, come “perder tempo a chi più sa più spiace” (Purgatorio, Canto III,78). Gli Intronati di Siena (XVI sec.), nel loro capolavoro Gl’Ingannati, riprendono tale tema dantesco, affrontandolo, però, nell'ambito di uno dei temi cruciali di tale loro opera (invero, sinora, non investigato dagli studiosi), quello del tempo impiegato nelle pene di un amore perduto: allora il dibattito si accende fra Flamminio (che, contrastando l’affermazione, posta in via generale da Dante, afferma categorico: “perder questo tempo mi piace”, volendo esprimere un concetto, invero, assai profondo, quello che oggi è definito “il tempo di elaborazione del lutto per la perdita di un amore”) e Lelia (che, in accordo con Dante, invece, afferma, rivolgendosi a Flamminio: “Voi perdete il tempo”). Infine (Prof. Hilary Gatti -1998), “chez [John] Florio” la “commedia senese de Gli ingannati non disponibile in traduzione” raggiunse “Shakespeare [che la] ha senz’altro utilizzata come fonte”: e il titolo dell'opera shakespeariana Love’s Labour’s Lost sembra dare ragione a Dante: è fatica e tempo perso,  anche quello impiegato nella pena d'amore.

 

Il perder tempo in Dante (508.6 kB)

 
Da “words like swords” (J. Florio) a “words like daggers” (Amleto) PDF  | Stampa |

Massimo Oro Nobili indaga, in questo studio, sulla “genesi” “floriana” delle parole pronunciate da Gertrude (divenuta moglie del fratricida Re Claudio), a fronte delle parole “acuminate” del figlio Amleto: “Oh non mi parlare più; queste parole come pugnali (“words like daggers”) m’entrano negli orecchi” (Atto III, Scena iv, 94-95).

 

Words like swords (388.28 kB)

 
L’invettiva di Ochino contro Venezia (1542), in Shakespeare PDF  | Stampa |
Massimo Oro Nobili indaga su una vicenda (invero, poco conosciuta), quella dell’invettiva pronunciata, contro Venezia (1542), dal più grande predicatore della Riforma, in Italia, il frate senese Bernardino Ochino e propone l'esistenza di una importante “traccia” di tale invettiva, nell'opera shakespeariana Love’s Labour’s Lost, la fonte della cui trama è ritenuta indiscutibilmente (dagli studiosi) un’opera dell’Accademia degli Intronati di Siena.
 
 
Vittoria Colonna e Amleto PDF  | Stampa |
Massimo Oro Nobili indaga, in questo studio, su una sublime immagine della più grande poetessa del Rinascimento italiano, Vittoria Colonna, contenuta nella lettera, dalla medesima inviata, il 20 settembre 1524, al suo amico Baldassarre Castiglione, dopo aver letto una prima “bozza” della celeberrima opera il “Cortegiano”. La poetessa si congratula col Castiglione e afferma che, per descrivere le qualità morali del perfetto uomo di corte, Castiglione ha descritto le proprie, autobiografiche interiori qualità morali, “con…tenere uno specchio denanzi, et considerare le interne… parti sue”. L’identica, sublime immagine, tradotta letteralmente in lingua inglese, è descritta con riguardo a una delle scene shakespeariane più drammatiche, quando Amleto (Atto III, scena iv, 18-19) dice alla madre: “Io vi metto dinnanzi uno specchio in cui voi potete vedere la interna parte di voi”.
 
 
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